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[ Amsterdam/Damasco: rivelazioni ]
Heidegger - Ciò che abbiamo potuto stabilire è l’esser mezzo del mezzo. Ma come? Non mediante la descrizione e l’analisi di un paio di scarpe qui presenti. Non mediante l’osservazione dei procedimenti di fabbricazione delle scarpe, e neppure mediante l’osservazione di un qualche uso di calzature. Ma semplicemente ponendoci innanzi a un quadro di Van Gogh… E’ il quadro che ha parlato.[1]
"In questa ricerca dell’origine dell’opera d’arte da parte di Heidegger, facenti e salvaguardanti sono gli artisti e quanti altri si occupano delle faccende dell’arte, e non vanno certo riferiti alla struttura sociale per esteso..." - come invece io starei tentando di fare, direbbero alcuni.
E sarà pur vero. Ma, se si voleva parlar chiaro, che bisogno c'era di chiamare facenti o creanti quelli che tutti già conoscono comunemente come artisti o poeti? E perché chiamare “salvaguardanti” o “verencondenti” quelli che tutti indicano abitualmente come storici dell’arte e filologi, restauratori, mercanti di quadri e custodi di museo?
E' tanto per fare “allegoria”? tanto per far “poesia”? tanto per far filosofia?...
Questi giri di parole assomigliano ad altrettanti raggiri di fatti - e neppure sembrano parole scelte per definire, piuttosto per dare un incarico, affidare un compito, suddividere il lavoro per assegnare ad ognuno un determinato destino.
Per altro, ad esempio,
Derrida stesso sostiene che al filosofo tedesco neppure interessavano quel paio di scarpe specifiche, né quella particolare opera di van Gogh pur parlandone ripetutamente.
Tutti sanno che nella vita abitudinaria, come anche nella filosofia, spesso si dicono lucciole per lanterne o si parla all'uno affinchè l'altro intenda... se vuole intendere. E' dunque colpa mia se poi uno tenta di arrivare alla "cosa" reale che si sta pensando mentre si parla d'altro?
Tralasciamo però qui di domandarci a cosa Heidegger era dunque veramente interessato, per chiederci piuttosto come mai Heidegger sia ricorso proprio a questo quadro di van Gogh per offrirci un sostegno col quale seguirlo più nel suo arduo procedere argomentativo - ci spiega Derrida; e noi aggiungiamo pure che magari anche al filosofo stesso occorressero delle scarpe soltanto in figura da utilizzare come un mezzo conforme ad “esplorare il terreno” dell’arte, dell’estetica...
Ma nell'incerto procedere su questo problematico terreno non sarebbe stato meglio muoversi a piedi nudi? senza scarpe, scalzi e privi di ogni mezzo che si potesse mettere in mezzo tra la pianta sensibile del piede ed il terreno esterno da tastare?

Dunque, diciamo pure che se il filosofo in carne e ossa voleva gironzolare liberamente per un bosco reale, aveva bisogno di un paio di scarpe altrettanto reali e concrete da mettersi ai piedi... Se non sotto i piedi - perché a questo punto debbo, molto sommessamente, confessare che per un istante mi è balenata l’idea che  la scelta di quest’opera potesse essere stata orientata, in qualche modo, anche da una scarsa considerazione da parte di Heidegger nei confronti del valore artistico o pittorico di van Gogh o dell’arte moderna in generale; considerato anche che ad Heidegger non occorreva certo aspettare l’esposizione dell’Entertete Kunst del 1937 a Monaco per sapere che si trattava dell’opera degenerata di uno schizzofrenico, così come aveva letto nella patografia del pittore inviatagli da Jaspers già nel 1922 -.[2]

Ma ora riprendiamo pure dalla scena in cui Heidegger, in cerca di scarpe, si guarda attorno e non trova altre scarpe più reali di quelle raffigurate in un quadro fatto alla buona proprio da un calzolaio che si era posto di fronte alla realtà senza teorie artistiche - così come lui, che si era proposto di porsi davanti ad un comune paio di scarpe senza teorie filosofiche.[3]
-
D’altronde, sia detto tra noi - cos'altro poteva fare un calzolaio per vocazione se non un paio di solide scarpe... ancorché messe in forma di pittura?
Ad ogni modo, e a ben considerare, la scelta del filosofo la dice lunga non solo sul reale valore pittorico di questo quadro e del “motivo” di Vincent, ma anche l'indubbia acutezza dei sensi dello stesso Heidegger,
il quale, grazie all'uso di quelle scarpe dipinte, sembra spingersi avanti fino a confessare forse qualcosa di indicibile per un metafisico (o per quello che io credo possa e debba essere un metafisico).
A parer mio, cioé, grazie alla pittura di Vincent, il metafisico tedesco finirà infatti per dire: "Per la prima volta, semplicemente ponendomi d'improvviso dinanzi a questo quadro di Van Gogh, un paio di scarpe mi si sono rivelate come cose esistenti indipendentemente dalla loro raffigurazione e pesantemente cadute fuori da ogni mio pensar-le".
Siamo noi a immaginare questa esposizione dei fatti per attribuirla poi al filosofo? Pensarlo sarebbe un errore esiziale.
I tre quadri di van Goh con il motivo delle calzature esposti alla mostra di Amsterdam visitata da Heidegger nel 1930; da sinistra: Natura morta con  terraglia, bottiglia e zoccoli, (F 63); Nuenen, settembre 1885, olio su tela su tavola cm. 39x41,5; Otterlo, Kröller-Müller Museum; – Un paio di scarpe (F 255); Parigi, seconda metà del 1886; olio su tela cm. 37.5x45.0; Amsterdam, V.G. Museum; Tre paia di scarpe (F 332); Parigi, dicembre 1886; olio su tela cm. 49x72; Cambridge, Mass., Fogg Art Museum, Harvard University.
Il professor Heidegger, ha precisato che il dipinto che gli aveva “parlato”, era uno di quelli visti in un’esposizione ad Amsterdam nel marzo 1930[4].
Stando nella vicinanza dell’opera – spiega con le sue stesse parole - ci siamo trovati improvvisamente in una dimensione diversa da quella in cui comunemente siamo. L'opera d'arte ci ha fatto conoscere che cosa le scarpe sono in verità".[5]
Vale a dire che: stando in piedi nelle sue proprie scarpe, di fronte ad una opera che raffigurava delle scarpe, il metafisico ha compreso d'improvviso che cosa era in verità quel "mezzo" che aveva calzato ai piedi fin dal mattino, uscendo dall'albergo per recarsi ad una esposizione di pittura...
Alla buonora! esclamerebbe il calzolaio olandese.
Che volgarità! esclamerete voi. Ma tuttavia...

Tuttavia credo proprio di aver sentito bene la confessione di Heidegger, al quale era stata necessaria una distrazione dalla filosofia per poter trovare una "dimensione diversa" nella quale un paio di scarpe potessero rivelarglisi, improvvisamente, di starsene proprio là: ai sui piedi.[
6]
Non trovate anche voi che in tutto questo la metafisica abbia confessato di aver subito uno smacco per merito di un paio di vecchie scarpe con lacci?
[7]

C’è un quadro che rappresenta l’apostolo Paolo nel momento in cui viene sbalzato al suolo dalla rivelazione divina mentre era sulla via per Damasco; ma qui la Verità illumina soprattutto la chiappa possente del cavallo[8] e il suo zoccolo di ferro crudo che a malincuore trattiene a mezz'aria per non inchiodare il caduto alla terra.[9] 

Un paio di scarpe da contadino e null’altro...? [10]
Ah! si fosse fermato il filosofo, a stupefarsi del paio di scarpe senza null'altro, invece di decidersi, e senza pensarci due volte, a consegnarle al contadino affinchè potessero andare a pestare la fanga delle mulattiere o la pedala di un telaio domestico piuttosto che la nera limatura delle città o il grasso infiammabile colato via dalle roventi ferraglie industriali degli opifici...
[1] - Heidegger, Origine Ni68, p. 21.
[2] - Il 27 giugno 1922, nella lettera con cui Heidegger ringrazia Karl Jaspers per avergli spedito il suo Strindberg und Van Gogh con la “patografia” del pittore, scrive anche: “Tanto per cominciare, devo subito ammettere: di Strindberg non conosco nulla, di Van Gogh non ho ancora mai visto un originale. Mi sono tuttavia note le sue lettere.” (Martin Heidegger, Karl Jaspers, Lettere 1920-1963,  Raffaello Cortina Editore, Milano 2009, p. 16).
[3] - Heidegger, Origine Ni68, p. 18: “... se incomin-ceremo con la semplice descrizione di un mezzo qualsiasi, senza teorie filosofiche.
[4] - Vedi immagini in alto.
[5] - Heidegger, Origine Ni68, p. 21: “Stando nella vicinanza dell’opera, ci siamo trovati improvvisa-mente in una dimensione diversa da quella in cui comunemente siamo. L’opera d’arte ci ha fatto conoscere che cosa le scarpe sono in verità. Sarebbe un errore esiziale quello di credere che la nostra descrizione, con procedimento soggettivo, abbia immaginato tutto ciò, attribuendolo poi a un oggetto.
[6] - Heidegger, Origine Ni68, p. 21: "...l'opera non ci è semplicemente servita ad una migliore comprensione di ciò che il mezzo è. Al contrario, è solo nell'opera e attraverso di essa che viene alla luce l'esser-mezzo del mezzo".
[7] - C'è uno scherzo puerile che a volte si fa subire a chi si addormenta con le scarpe ai piedi: si annodano tra loro i lacci delle due scarpe e quando il malcapitato si risveglia e fa tanto di camminare eccolo cadere improvvisamente a terra.
[8] - Anche la cavalcatura sarebbe un “mezzo”? alla stregua di un paio di scarpe, di un treno, di un transatlantico e di un aereo?
[9] - A volte ho avuto la sensazione che il pensiero di Heidegger sia più calcato nella terra (ancorché nazionale) e nella materia (benché metafisica) di quanto possa esserlo quello di alcuni dei suoi dotti e dottissimi commentatori ed esegeti.
[10] - Heidegger, Origine Ni68, p. 19.
- Immagine a sinistra: Michelangelo da Caravaggio, 1601, La conversione di San Paolo (o Conversione di Saulo), olio su tela, 230x175 cm.; Cappella Cerasi della Basilica di Santa Maria del Popolo a Roma.






ALTRE FIGURE ESISTENTI
1. Ponte ferroviario sull’Avenue Montmajour (F 480); Arles, ottobre 1888; olio su tela cm. 100x92; Coll. privata
2. Il ponte Trinquetaille (F 481); Arles, ottobre 1888; olio su tela cm73.5x92.5; Coll. Privata.
3. Vagoni ferroviari (F 446); Arles, agosto 1888; olio su tela cm.45.0x50.0; Avignone, Fondazione Angladon-Dubrujeand
1. Ponte ferroviario, Arles, ottobre 1888
2. Il ponte Trinquetaille, Arles, ottobre 1888.
3. Vagoni ferroviari, Arles, agosto 1888.
VALIGIE
parte seconda H.D.S. MAROQUINERIES